Il Mediterraneo è un’area del pianeta estremamente importante per la sua unicità. La sua storia è piena di colpi di scena e di cambiamenti, soprattutto in termini di biodiversità. Oggi scendendo sott’acqua possiamo esplorare un archivio che può raccontarci di questi cambiamenti, almeno dall’ultima glaciazione ad oggi. Quest’archivio è il coralligeno, una matrice calcarea biogenica che è in continuo sviluppo da circa 10.000 anni, e che oggi è considerata cruciale per preservare la biodiversità mediterranea.
Definizione coniata nel 1883 dal francese Marion, il coralligeno si sviluppa là dove le temperature restano maggiormente stabili, l’intensità luminosa si riduce e le radiazioni cromatiche dello spettro solare spariscono ad eccezione del blu. Solo con la luce della torcia il coralligeno appare nella sua bellezza, un caleidoscopio di forme e colori, risultato di due processi biologici estremamente dinamici, quello della biocostruzione, ad opera soprattutto delle alghe coralline che formano un substrato duro secondario, e quello della bioerosione, operata da organismi in grado di forare o sciogliere il substrato calcareo, detti biodemolitori.
Questo complesso equilibrio dà origine ad un habitat estremamente variegato che ospita al suo interno numerosi microhabitat e che oggi è considerato il secondo più importante hot spot di biodiversità, dopo le prateria di Posidonia oceanica. Il coralligeno, infatti, può ospitare al suo interno più di 120 specie diverse di animali principalmente briozoi e policheti ma anche spugne, cnidari, crostacei e molluschi. Per quel che riguarda i due fenomeni, quello di biocostruzione e quello di bioerosione, il primo è compiuto principalmente da organismi a scheletro calcareo come le alghe coralline ma anche briozoi e policheti tubicoli mentre il secondo ruolo è giocato principalmente da echinodermi, molluschi e da quelle spugne che sono in grado di perforare la roccia tanto da portare alla caduta di porzioni di substrato.
In condizioni di luminosità ridotta, temperatura bassa e relativamente costante e moderata velocità di sedimentazione, le alghe coralline, in particolare Lithophyllum sp., Mesophyllum sp., Pseudolithophyllum expansum, Palmophyllum crassum, Peysonnelia sp. e Halimeda tuna, crescono deponendo il proprio scheletro calcareo. Oltre ad agire direttamente sull’accrescimento dell’habitat, dopo la morte, il loro scheletro calcareo si fossilizza, dando origine al bioconcrezionamento che può arrivare, nel tempo, a superare il metro di dimensione.
Su questo substrato intermedio crescerà tutto il popolamento bentonico, più appariscente, spesso tridimensionale, costituito dai grandi briozoi, come Myriapora truncata (scheda 4.1), dai densi popolamenti a gorgonacei, come Paramuricea clavata o le specie del genere Eunicella sp. (scheda 4.2), da altre numerosissime specie di cnidari, come Cladocora caespitosa (scheda 3.7), Parazoanthus axinellae (scheda 4.3) o la rara Savalia savaglia (scheda 4.4) e dalle spugne, soprattutto quelle del genere Axinella (scheda 4.5) e Ircinia, ma anche Petrosia ficiformis, Condrosia reniformis, Spirastrella sp., Agelas oroides e molte altre.