Lo Zifio

nome italiano: ZIFIO

nome scientifico: Ziphius cavirostris, G. Cuvier 1823

inglese: Cuvier’s beaked whale

francese: Baleine de Cuvier

tedesco: Cuvier Schnabelwal

Lunghezza media: 6 m

Peso medio: 3000 kg

Classificazione: Ordine: Cetacea

                          sottordine Odontoceti

                          famiglia Ziphiidae

Alimentazione: Cefalopodi

Habitat: scarpata continentale (200-2000 m), canyon profondi

Curiosità: In mare la sua sagoma assomiglia a quella di una balenottera “in miniatura”

Abitudini: Piuttosto schivo, si trova spesso nel golfo di Genova

Minacce: Inquinamento acustico, catture accidentali nelle reti da pesca

Protezione: Convenzione di Barcellona, IUCN Red List (dati insufficienti per stabilire uno status)

Descrizione:

tra tutte le specie del Santuario, questa è rimasta, per certi aspetti, “misteriosa” più a lungo. Gli zifii venivano infatti avvistati molto raramente e le informazioni disponibili provenivano perlopiù da animali spiaggiati. Solo negli anni recenti si è scoperto che frequentano una zona abbastanza circoscritta, sopra i grandi canyon sottomarini che si trovano nel golfo di Genova.

Vista in lontananza, in superficie, la sagoma è simile a quella di una balenottera, con una pinna dorsale arretrata e molto piccola rispetto al corpo. Sono però nettamente diverse le dimensioni, dal momento che lo zifio è molto più piccolo (circa un terzo di una balenottera adulta). In più la colorazione è molto variabile: i maschi sono grigi con la testa chiara, a volte bianca, mentre le femmine sono marroni – rossicce. Anche se sono descritti come timidi e schivi, degli zifii sono stati visti saltare fori dall’acqua, e avvicinarsi alle imbarcazioni.

Come i capodogli, anche gli zifii si nutrono di cefalopodi (calamari) per catturare i quali compiono immersioni prolungate e molto profonde; non a caso quindi prediligono zone con ripide scarpate e fondali alti.

Un fenomeno drammatico riguarda in particolare questa specie: in alcune occasioni i potenti sonar militari noti come LFAS e MFAS ne hanno addirittura ucciso interi branchi, causando agli sfortunati animali danni simili a quelli da decompressione.