I frutti sono chiamati anche “olive di mare”, poiché forma e colore richiamano proprio un’oliva acerba. Il frutto, dopo 6-9 mesi di maturazione, tra maggio e luglio si stacca dalla pianta e galleggia grazie ad una “buccia” oleosa, che una volta marcita, lascia il seme nudo. Questo cade sul fondo e, se trova le condizioni idonee, dà origine a una nuova pianta. La riproduzione però avviene più frequentemente in modo asessuato, per stolonizzazione, come con le piante grasse, se mi si permette il paragone! Perché si parla di prati o addirittura di praterie di Posidonia (i posidonieti)? La risposta sta nel fatto che Posidonia è in grado di crescere molto rapidamente estendendosi da 1m fino a oltre 35m di profondità, soprattutto su fondali sabbiosi, ma anche su fondali detritici e su roccia.
La sua estensione è tale da occupare circa il 3% dell’intero bacino mediterraneo, una superficie cioè di oltre 38.000 km2. Nella sola Provincia di Imperia le distese di Posidonia bordano l’80% della costa, estendendosi per oltre 50 km e occupando più di 2400 ha. Se questo non vi avesse abbastanza stupiti, dovete sapere che Posidonia è particolarmente interessante anche per il suo contributo in termini di ossigeno, che produce tramite il processo fotosintetico. L’appellativo “polmone del Mediterraneo” è giustificato dal fatto che una superficie di 1m2 di prateria a 10m di profondità è in grado di produrre fino a 10l di ossigeno al giorno.
Per compiere la fotosintesi, la Posidonia ha bisogno di luce. Ecco perché le praterie si sviluppano dalla superficie sin dove la luce penetra nell’acqua e ne permette la crescita. Tanto più le acque sono limpide tanto più sarà profondo lo sviluppo delle praterie. Inoltre questa pianta tollera bene le variazioni di temperatura (range tollerato dai 9 ai 29°C) mentre risulta poco tollerante nei confronti delle variazioni di salinità (per questo motivo è assente alle foci dei fiumi e nelle lagune salmastre costiere) e dell’inquinamento da metalli pesanti e da sostanze eutrofizzanti. L’estrema sensibilità della Posidonia ai fattori quali torbidità e inquinamento fa sì che sia considerata un vero e proprio bioindicatore, capace di mostrare con precisione lo stato di salute delle acque.
Un arretramento dei limiti profondi delle praterie è considerato una prova inequivocabile di un inquinamento in corso. Questo spiega perché le praterie siano costantemente monitorate dagli organi preposti e perché questo habitat sia così importante da essere protetto secondo moltissime convenzioni internazionale (le praterie di P. oceanica sono state inserite, tra gli habitat prioritari nell’Allegato I della Direttiva EC 92/43/EEC del 21 maggio 1992, relativa alla Conservazione degli Habitat Naturali e della Fauna e della Flora Selvatiche). Ma gli importanti ruoli ecologici della Posidonia non finiscono qui. Con le sue radici, questa pianta fa quello che fanno gli alberi lungo le pendici delle colline, ovvero stabilizza il fondale sabbioso riducendo l’idrodinamismo e smorzando il moto ondoso a riva. Inoltre dà riparo a numero specie di pesci e invertebrati marini che, come tra le foglie degli alberi, trovano riparo, si riproducono e si nutrono. Non a caso le praterie di posidonia sono considerate uno degli ecosistemi più produttivi del pianeta, un “hot spot”, un punto caldo della biodiversità oceanica.
La complessa struttura ecologica di un posidonieto è in grado infatti di ospitare oltre 350 specie diverse di animali appartenenti a tutti i gruppi faunistici che possono vivere nel substrato (la così detta fauna criptica), sopra le radici e le foglie (gli epifiti) e all’esterno, come la fauna ittica. Sono circa 50 le specie di pesci associati direttamente o indirettamente alle praterie di P. oceanica. Il 56% di queste sono residenti, il 22% transienti e il 22% occasionali.
Tipici delle praterie sono le castagnole (scheda 3.1), le salpe (scheda 3.2) ma anche specie commercialmente interessanti come i saraghi (scheda 3.3) e le cernie (scheda 3.4), oltre che Scorpenidi, Serranidi, Labridi ed il particolarissimo pesce ago cavallino (scheda 3.5), il cui corpo assomiglia ad una foglia di posidonia.
Tra gli invertebrati troviamo sia gli epifiti, come ad esempio l’idriode Sertularia perpusillanon, sia le specie vagili, come ad esempio il riccio Paracentrotus lividus grande divoratore di foglie, stelle e molti molluschi, tra cui la specie più grande del mediterraneo, la nacchera di mare (Pinna nobilis) (scheda 3.6). Questo bivalve è in grado di raggiungere anche il metro di altezza, diventando a sua volta substrato per numerose altre specie che crescono sopra la sua conchiglia. Inoltre P. nobilis è l’esempio calzante del fenomeno di simbiosi poichè all’interno della valva è possibile trovare due specie di crostacei decapodi, il piccolissimo gamberetto Pontonia pinnophylax o il granchio Nepinnotheres pinnotheres (Decapoda) entrambi capaci di trascorrere il loro intero ciclo di vita all’interno delle valve.
Dopo la fauna ittica, quella dei molluschi è sicuramente la più rappresentata nelle praterie, poichè qui vi trovano riparo cnidari, come la madrepora Cladocora caespitosa (scheda 3.7), gasteropodi, bivalvi e cefalopodi come il polpo (scheda 3.8) e le seppie (scheda 3.9). Ed è grazie alle conchiglie lasciate vuote dai gasteropodi che i paguri (scheda 3.10) riescono a trovare riparo, diventando una delle specie di crostacei più rappresentativa delle praterie. Attualmente i posidonieti sono in regressione in moltissime zone del Mediterraneo soprattutto nella fascia più superficiale della zona costiera, quella cioè maggiormente soggetta all’impatto antropico.
Per tutelare il più possibile questo enorme patrimonio naturale, sono stati istituiti, dal 2000, i Siti di Importanza Comunitaria, che, insieme con le aree marine protette, delimitano i confini geografici di zone ad elevata biodiversità e quindi da tutelare.