IL BAROCCO

 

 

Chiesa di San Bernardo a Boscomare,

particolare della facciata, 1775-1834

A dispetto della significativa eredità medioevale, non esiste edificio religioso della Valle del San Lorenzo che non sia stato interessato da un qualche tipo di intervento architettonico o decorativo (pittorico e scultoreo soprattutto) improntato alla moda barocca del Seicento e Settecento. Eccezion fatta per le chiese dei Santi Matteo e Gregorio Magno a Pietrabruna, di foggia neoclassicheggiante (1844 circa), e della Natività di Maria Vergine a Lingueglietta, frutto di una notevole successione di campagne edilizie avviate già allo scadere del XII secolo, la stragrande maggioranza degli edifici parrocchiali presenta una veste monumentale che è stata concepita e realizzata proprio fra il XVII e il XVIII secolo. Il dato, di per sé emblematico sulla capacità di attrazione esercitata in loco da questo stile vivace e dinamico, riveste un rilievo anche maggiore se si sposta l’attenzione su quelle architetture religiose “minori” o defilate che, in realtà, rappresentano un logico complemento delle chiese parrocchiali. È il caso lampante dei numerosi oratori confraternITali dedicati solitamente al culto dell’Annunciazione di Maria Vergine e di San Giovanni Battista o, ancora, dei numerosi oratori suburbani e campestri che, malgrado i rimaneggiamenti subiti, hanno conservato caratteri inconfondibilmente barocchi o “barocchetti”. Non si tratta tuttavia di una questione limitata esclusivamente al campo dell’edilizia religiosa.

Continua per scoprire l'arte barocca della valle

In effetti, se è pur vero che sotto gli intonaci corrosi dell’edilizia storica dei più antichi borghi della Valle si nascondono spesso le forme del Medioevo con i suoi archi acuti, le volte ribassate e le pietre ben squadrate, è altrettanto vero che la facies urbana predominante, salvo casi particolari, è stata rielaborata nel corso di due soli secoli. In questo modo, passeggiando lungo gli stretti e ripidi caruggi che innervano i centri storici di alcuni borghi dove si respira ancora l’aria del Trecento, del Quattrocento e del Cinquecento accade non di rado d’imbattersi nei sovraporta monogrammati dedicati al culto della Vergine Maria o al nome di Gesù Cristo, in piccoli oculi circolari e finestre polilobe che fanno capolino dagli schermi compatti di alcune abitazioni ed edifici privati o, infine, nelle campiture ocra e vermiglie e nelle cornici a stucco che impreziosiscono la facciata di eleganti palazzi nobiliari (come quello posto in via Dante 49 a Civezza), case coloniche (come la casa “dei Littardi” a Lingueglietta), logge comunali (Cipressa) e, infine, case canoniche (Boscomare).

Il “gran tempo” del Barocco ha rappresentato, insomma, un movimento di rinnovamento generale del gusto artistico ed estetico di una società che, alle soglie del XVII secolo, era ancora saldamente inserita in un’atmosfera decadente e trasognante da “autunno del Medioevo”. Un periodo dove le timide aperture alle correnti rinascimentali si mescolavano volentieri nella forte radice espressiva (ed espressionista) di una cultura periferica e attardata, che prediligeva le forme arcaiche e primitive divulgate da botteghe itineranti di frescanti e lapicidi di estrazione locale e non. Su questo sfondo s’inserì lo spirito di una nuova arte, che era il frutto di una fede controriformata e nuovamente incline alla spettacolarizzazione e teatralizzazione del sacro e delle pratiche liturgiche connesse.

A quel punto, gli antichi edifici di culto, come le chiese parrocchiali o i primi oratori confraternITali sorti sull’onda emotiva suscitata dalle predicazioni di san Vincenzo Ferrer (1405 circa) e di san Bernardino da Siena (1417-1418 circa), sembrarono d’improvviso obsoleti, fuori moda, superati. Occorreva aggiornarne il gusto e modificarne planimetria, volumi e persino forma e distribuzione delle cappelle laterali, anche a costo d’intervenire su un edificio più o meno antico per rimodellarlo o, in molti casi, sacrificarlo ai nuovi dettami imposti dal Concilio di Trento (1545-1564). Fu così che scomparve per sempre la maggior parte degli edifici religiosi medievali e, con essi, una vasta tipologia di arredi liturgici (pale e dipinti a tempera su tavola, affreschi, corredi scultorei di varia natura ecc.), sostituiti via via da grandi tele a olio giocate su tinte fosche e lampi improvvisi, esuberanti repertori in stucco e materia, marmi screziati e preziosi (bianco di Carrara, rosso di Francia, nero di Portoria), massicci gruppi scultorei in legno policromo, crocifissi lividi e sinuosi, statue imponenti e accigliate battute dal vento o congelate in pose estatiche e, infine, sovraccariche quanto fantasiose oreficerie.

Non è facile assegnare una data precisa all’inizio dell’età barocca. Tuttavia, esistono due fatti significativi per gli equilibri politici della Valle del San Lorenzo che decretano la fine della lunga stagione medievale e, a un tempo, la nascita di una nuova alba trionfale all’insegna dello stendardo crociato della Repubblica di Genova: la fine della signoria feudale dei Lengueglia (1609), cui erano legati i destini di Lingueglietta, Boscomare, Torre Paponi, buona parte di Costarainera e del borgo occidentale di San Lorenzo al Mare; e l’emancipazione comunale di Pietrabruna (1613) dal Terziere di Dolcedo e dal Comune di Porto Maurizio, che vale in parte anche come termine di riferimento per Civezza (aggregata al Terziere di Torrazza sino al 1762) e, in parte, per il borgo orientale di San Lorenzo al Mare. Si tratta di due eventi capitali per la storia locale, che si sommano agli ultimi decreti di affrancamento parrocchiali dei principali edifici tardomedioevali, come le chiese dei Santi Cosma e Damiano a Torre Paponi (1611), della Visitazione di Maria Vergine a Cipressa (1654), di San Bernardo Abate a Boscomare (1680) e, infine, di Santa Maria Maddalena a San Lorenzo al Mare (1749). Il Seicento, tuttavia, non nacque dal nulla e la cesura con la tradizione medioevale fu meno netta di quanto si potrebbe sospettare. Non è un caso, dunque, se le uniche architetture seicentesche che ancora sopravvivono in valle, come le parrocchiali di San Lorenzo al Mare, Cipressa presentino un “carattere di transizione” che è riassunto nel protiro della Natività di Maria Vergine a Lingueglietta, dove un avancorpo cinquecentesco voltato a croce (1585) ripara un portale concepito come il fornice di un arco trionfale romano (1621).

Si tratta, insomma, di una continuità di sviluppo che media continuamente fra le soluzioni planimetriche delle basiliche medioevali (tre navate scandite da colonne in pietra o pilastri in muratura) e i nuovi schemi unificati, a pianta centrale espansa, dove l’intero apparato liturgico è studiato per esaltare la funzione della predicazione, il ruolo della Parola. In questo modo, si rivedono edifici a pianta rettangolare, scanditi da tre navate voltate a botte, quella centrale, e a croce, le laterali, poggianti su solidi pilastri in muratura e coronate da un presbiterio sopraelevato e provvisto di una cupola, destinata a illuminare a giorno l’area di un coro sempre più profondo. Lungo i fianchi, inoltre, inzia lentamente ad aprirsi una sequenza numerosa di cappelle laterali, dove gli affreschi acquarellati di gusto tardomanierista lasciano spazio a complesse “macchine d’altare” in cui si concentrano le fatiche di alcune scuole di pittori (Casanova, Massa, i Niggi e i Carrega), marmorari (i Torre, i Gaggini, i De Ferrari e i Ripa) e stuccatori o “plastificatori” (Adami, Bollani, Carli e Maggiorini) informati sulle linee di tendenza imperanti a Genova. Anche le facciate, almeno in un primo momento, conservano l’aspetto di uno schermo piatto profilato a capanna, perforato da un portale maggiore di foggia classicheggiante e un sistema di finestrature tardomanierista (le serliane per esempio), che delegano all’affresco il compito di simulare una dinamica articolazione delle masse e un altrettanto ricco corredo plastico e decorativo.

Sarà solo nel corso del Settecento, in una fase matura, che esploderà la moda del gigantismo. A quel punto, inizieranno a farsi spazio i volumi elissoidali, i cori profondi e poligonali, le cornici marcapiano e le paraste binate in aggetto, i semicapitelli compositi con teste di puttini, le nicchie dove albergare i simulacri dei santi titolari, le volute e i pinnacoli, le finestre e i timpani mistilinei e, in breve, quella visione chiaroscurata delle superfici architettoniche ch’era propria di una famiglia di architetti e stuccatori di Candeasco, Giovanni Battista (1646-1706), Giacomo Filippo (1673-1743) e Antonio Filippo Marvaldi (1730-1791). Si devono a questi progettisti, o ai loro emuli (Domenico Belmonte ad esempio), le chiese di San Giovanni Battista a Costarainera (1709-1721), dei Santi Cosma e Damiano a Torre Paponi (1720-1752), di Santa Maria Maddalena a San Lorenzo al Mare (1749-1766), di San Bernardo Abate a Boscomare (1770-1775) e di San Marco a Civezza (1777-1793). Dinanzi ai monumenti trionfali della matura epoca barocca risorsero anche gli edifici religiosi di riferimento delle principali confraternite laiche, come i numerosi oratori dei Disciplinanti, destinati a instaurare un dialogo architettonico serrato con le adiacenti chiese parrocchiali. Un colloquio che in alcuni casi, come a Costarainera, Cipressa e Lingueglietta, si risolse in un conflitto aperto dove i volumi grandiosi e lo sfarzo dei decori a stucco malcelavano l’insofferenza degli esponenti della comunità di fedeli verso il rigido controllo dell’autorità ecclesiastica locale.

Il risultato principale di questa problematica convivenza fu la definizione dei principali poli religiosi dei borghi della vallata e, come a Costarainera, Civezza e Torre Paponi, la creazione di alcune fra le più scenografiche piazze barocche dell’Estremo Ponente Ligure, dove le facciate degli edifici religiosi si dispongono a formare un sistema di quinte teatrali di notevole impatto urbanistico e paesaggistico. L’epoca dei trionfi sovrannaturali e dei rapimenti estatici, tuttavia, non ha plasmato solamente l’aspetto delle chiese parrocchiali, degli oratori confraternali e suburbani o, ancora, l’affaccio pubblico di certa edilizia “aulica” privata. Essa sopravvive ancora nelle forme “povere” e spesso dimenticate di una nutrita serie di piloni ed edicole votive che, da Costarainera a Cipressa, da Lingueglietta a Torre Paponi e Boscomare, da Pietrabruna a Civezza, innervano a livello capillare l’intero territorio della Valle del San Lorenzo. Si tratta a tutti gli effetti di una serie di micro-architetture che, rimaneggiate in tempi successivi o in stato di avanzata rovina, seganalavano le principali vie di scorrimento verso le campagne o i borghi circostanti e che, in determinati momenti dell’anno, erano oggetto di speciali rogazioni o processioni “propiziatorie”.

L’atto conclusivo del “gran tempo” del Barocco cade ben oltre i limiti convenzionali della fine del Settecento e dell’ondata rivoluzionaria che porterà alla formazione della Repubblica Ligure (1797) e, dopo l’esperienza effimera dell’Impero di Napoleone Bonaparte, all’annessione al Regno di Sardegna (1815). Sarà infatti la chiesa dei Santi Matteo Evangelista e Gregorio Magno a Pietrabruna, l’ultima parrocchiale tardomedievale scampata alle pesanti demolizioni sei e settecentesche, a sancire nel 1844 il tramonto di quello stile sovraccarico e violentemente chiaroscurato aprendo, seppur tardivamente, le porte del gusto allo spirito purista e razionale dell’epoca neoclassica.

(Stefano G. Pirero)